
Questa è la mia vita!
Una visita ad un tukul Sidamo, coperto di terra rossa e di decorazioni tradizionali: solo una breve sosta nel nostro trasferimento da Addis Abeba verso il sud dell’Etiopia.
Ci accoglie una famiglia numerosa, con tanti bambini dai denti bianchi e dagli occhi intensi.
Entriamo: l’ambiente è buio, la vista fatica ad abituarsi. C’è anche fumo, acre e irritante. E’ fumo di cucina ma, infiltrandosi nel tetto di paglia senza camino, aiuta anche a tenere lontani insetti e parassiti.
Cominciamo a scattare. È difficile mettere a fuoco: le finestre sono solo due, piccolissime, e il fumo è tanto denso da riempire polmoni e vestiti. I bambini si fanno tutti intorno. Vogliono vedersi nelle foto, ridono quando riconoscono gli altri, ma rimangono sorpresi e imbarazzati quando vedono sé stessi: non ci sono tanti specchi qui.
Una ragazza con lineamenti bellissimi mi sorride timida. Le sorrido anche io. Mi fa cenno di seguirla, mimando il gesto del fotografare. Mi accompagna prendendomi per un braccio, delicata. Entriamo in un locale ancora più buio, delimitato da bastoni intrecciati.
Mi indica qualcosa sulle pareti. Non capisco, sembrano ammassi informi. Provo a mettere a fuoco per scattare una immagine e la luce guida della macchina mi aiuta…
Borse! Sono borse, appese a ganci sul muro di fango. Non ci sono armadi in questa “stanza”: solo quelle povere borse, vecchie, di finta pelle usurata, a fianco di qualche sacchetto di plastica impolverato. Ora comprendo: la sua storia, le sue vesti, i suoi averi, racchiusi in poche valigie attaccate alle pareti.
Si accosta al muro di terra, si gira verso di me e apre le braccia, pronta ad essere fotografata. Torna a sorridere, bella, orgogliosa. Questa sono io, vuole dire, questa è la mia vita.
I suoi occhi brillano, ma non è merito del flash.
© Enrico Madini 2015
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